Quante volte ci siamo “impegnati” ad individuare un preciso rituale prima di metterci in ascolto di una persona che ha un determinato problema? Ecco uno degli interrogativi più interessanti scaturiti dalle lezioni della Dott.ssa Mirela Schwarz durante il corso di coaching olistico nell’ambito del progetto Totita23, promosso dall’Associazione “Pianeta Giovani” e finanziato con i fondi del’8 x 1000 messi a disposizione della “Tavola valdese”. Un tema, quello dell’ascolto, varie volte affrontato sotto varie sfaccettature, in ambito psicologico, filosofico, sociale…Si tratta di quei concetti che, nonostante abbiano oramai acquisito una propria definizione e collocazione nelle relazioni sociali, si prestano sempre a nuove riflessioni ed analisi. Nel caso specifico, ad esempio, nell’introduzione di un momento di ascolto sappiamo magari quanto può essere importante porsi in silenzio, per dare attenzione alle parole dell’altro, o anche la cura e la scelta del luogo dove avviene l’incontro, affinché l’altro possa sentirsi maggiormente a proprio agio e spronato a confidarsi, a raccontarsi…altrettanto importate risulta essere strutturare una determinata azione, che diventi abituale, consueta, un “rito” appunto propedeutico al momento di ascolto, come fosse una sorta di introduzione ad esso…una sigla, un ritornello, che lasci intendere, che predisponga a ciò che sta per accadere….Dunque, un rituale può rappresentare quel momento di passaggio importante che focalizza, incanala, accompagna con naturalezza ad un ascolto più sentito e consapevole. “Questo può risultare importante in contesti lavorativi – spiega la dott.ssa Schwarz – come anche in ambito amicale”. In quest’ultimo, invece, spesso si ritiene meno importante individuare un rituale “di partenza”, perchè ci si ritiene già in confidenza e sempre in continuo ascolto dell’altro. Ed invece, individuare un rituale per racchiudere un momento di condivisione è come sottolineare l’importanza di quel momento nel contesto dell’incontro e può davvero determinare in chi ascolta una maggiore attenzione e in chi si confida una maggiore spontaneità e naturalezza. Immaginato in tal modo, il momento di ascolto rappresenta un processo di elargizione non solo di informazioni, ma anche e soprattutto di intuizioni che collegano direttamente all’interiorità di chi ci sta di fronte, con tutto il suo vissuto e le “forze energetiche” in esso contenuto. Dunque, in tale ascolto, il non verbale, ciò che si “sente”, ha maggiore valenza e veridicità di ciò che si esprime a parole. E, quindi, accogliere con un rituale, un gesto o una dicitura verbale – che diventi poi consueta – chi ha bisogno di confidarsi può modificare l’importanza che sembra si dia a quel determinato momento e al contenuto del racconto. Di qui l’importanza del circle time, il rituale, appunto, che avviene in ogni incontro con i ragazzi nel centro di aggregazione giovanile di Pescolanciano. Si tratta di un momento particolare di introduzione alle attività del centro, in cui ci si pone tutti a cerchio, affinché le informazioni e le emozioni correlate ad esse possano appunto “circolare” tra i ragazzi, in un momento di scambio di opinioni, punti di vista e riflessioni. Un momento che può appunto essere considerato un rito introduttivo alla vita del centro, un momento di passaggio alle attività del centro, che hanno inizio appena dopo.
Lug
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